L'analista improvvisa un conto sul retro di una busta. «Se guardiamo alla Borsa italiana - spiega - poco più del 30% è fatto di imprese pubbliche, da Eni a Finmeccanica, da Enel ad A2A. Un altro blocco, che vale più del 35% del mercato, è costituito da società su cui Mediobanca esercita in qualche modo la sua influenza o perché ne possiede una quota o perché sono sue azioniste e quindi sono coinvolte nei meccanismi decisionali. Ci possiamo mettere le Generali, Telecom, Pirelli, Rcs, Intesa Sanpaolo, ma anche Unicredit, Romain Zaleski, i gruppi Pesenti, Benetton, Ligresti e De Agostini. Infine la Fininvest di Silvio Berlusconi. È evidente che ciascuno di questi soggetti ha un rapporto diverso con Mediobanca. Tuttavia non si può negare che i legami ci siano».
Ma che cosa c'entrano le imprese pubbliche con la galassia Mediobanca che è totalmente privata? Eni, Enel, Finmeccanica, Stm, Terna, Snam Rete Gas sono controllate dal Tesoro: i manager li sceglie il governo, le strategie e gli investimenti sono elaborati di concerto con i ministeri competenti, i dividendi li incassa il Tesoro. Lo stato è l'azionista di riferimento ed esercita le sue prerogative in modo attento. Anche perché i settori in cui operano le società non completamente privatizzate, dall'energia alla difesa, sono strategici e dalla loro efficienza dipende il futuro del paese. Dunque un terzo delle società quotate, e tra queste la maggioranza delle grandi, fa capo al governo.
Per Mediobanca il discorso è diverso. La banca d'investimenti fondata da Enrico Cuccia è, ormai da anni, privata come tutti i suoi azionisti (a parte qualche fondazione che peraltro non fa parte dell'accordo di blocco). Ma alla sua guida, dal giugno del 2007, i soci hanno nominato Cesare Geronzi che, oltre a presiedere il consiglio d'amministrazione, governa anche il patto di sindacato. È un presidente "forte" seppure non operativo (gli affari sono competenza dell'amministratore delegato Alberto Nagel e del direttore generale Renato Pagliaro, entrambi allevati alla scuola di Cuccia).
La sua forza nasce dal carisma personale, dalla lunga esperienza maturata prima alla Banca d'Italia e poi nelle banche (Cassa di risparmio di Roma e Banca di Roma-Capitalia), ma soprattutto dalla formidabile capacità d'"interlocuzione" con il mondo della politica, indipendentemente dal suo colore. Geronzi riesce ad andare d'accordo con tutti. Oggi, come confermano numerosi banchieri e imprenditori, ha un rapporto privilegiato con Silvio Berlusconi e con il suo braccio destro Gianni Letta. Lungo questo "asse" corre una buona fetta del destino d'Italia.
Se si sommano le imprese pubbliche, controllate dal governo, e quelle che orbitano intorno a Mediobanca, dove Berlusconi e Geronzi sono in grado di far sentire la loro voce, si arriva al 70% della capitalizzazione di borsa. O giù di lì. Un raggio d'influenza piuttosto ampio per il Cavaliere e per il suo governo. È un dato che sembra in contraddizione con quanto emerso negli articoli precedenti, quando imprenditori e banchieri sollevavano il problema della mancanza di un "centro di compensazione" in cui sviluppare progetti e strategie complessive per il paese. In realtà esiste un asse privilegiato che collega la presidenza del consiglio e la maggiore investment bank italiana, interconnessa con una buona parte del cosiddetto establishment.
Un difficile equilibrio
Ma qui si torna un po' alla domanda di partenza: è vero che la crisi ha riportato la politica al centro del sistema? E se è vero, come sta utilizzando questo potere? Qui le risposte divergono. «Non mi pare che, oggi, la politica sia forte - dice uno dei più importanti imprenditori -. Quando si lotta per la sopravvivenza giorno dopo giorno è difficile imporre una visione, coltivare dei progetti». La guerriglia permanente all'interno della maggioranza, in ampia misura legata al problema della successione a Berlusconi, i problemi giudiziari del presidente del consiglio, l'incomunicabilità con un'opposizione a sua volta piuttosto evanescente, secondo questa visione, indeboliscono il centro-destra che peraltro si trova a governare con un mandato elettorale chiaro (i numeri in parlamento non lasciano dubbi) e in una fase in cui il primato della politica, anche e soprattutto in economia, non è messo in discussione.
«Il combinato disposto - sostiene invece un politico molto attento alle questioni economiche come Bruno Tabacci - della crisi internazionale e della vittoria del centro-destra alle elezioni del 2008 ha prodotto un'enorme concentrazione di potere nelle mani di Berlusconi, che lo esercita in parte attraverso Tremonti e in parte attraverso Geronzi». Ovvero due modi molto diversi di gestirlo. Geronzi, in questa fase, riesce ad andare d'accordo con Giovanni Bazoli, presidente e "faro" d'Intesa Sanpaolo, nonostante le profonde differenze, culturali e caratteriali, che li separano. «Il dialogo c'è e serve all'interesse generale», dice chi li frequenta entrambi. Geronzi è andato persino in soccorso di Alessandro Profumo, il supermanager di UniCredit, quando, nel momento più drammatico della crisi finanziaria, era sotto tiro delle fondazioni sue azioniste.
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