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Banche e politica in equilibrio precario

di Orazio Carabini

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10 novembre 2009

L'analista improvvisa un conto sul retro di una busta. «Se guardiamo alla Borsa italiana - spiega - poco più del 30% è fatto di imprese pubbliche, da Eni a Finmeccanica, da Enel ad A2A. Un altro blocco, che vale più del 35% del mercato, è costituito da società su cui Mediobanca esercita in qualche modo la sua influenza o perché ne possiede una quota o perché sono sue azioniste e quindi sono coinvolte nei meccanismi decisionali. Ci possiamo mettere le Generali, Telecom, Pirelli, Rcs, Intesa Sanpaolo, ma anche Unicredit, Romain Zaleski, i gruppi Pesenti, Benetton, Ligresti e De Agostini. Infine la Fininvest di Silvio Berlusconi. È evidente che ciascuno di questi soggetti ha un rapporto diverso con Mediobanca. Tuttavia non si può negare che i legami ci siano».

Ma che cosa c'entrano le imprese pubbliche con la galassia Mediobanca che è totalmente privata? Eni, Enel, Finmeccanica, Stm, Terna, Snam Rete Gas sono controllate dal Tesoro: i manager li sceglie il governo, le strategie e gli investimenti sono elaborati di concerto con i ministeri competenti, i dividendi li incassa il Tesoro. Lo stato è l'azionista di riferimento ed esercita le sue prerogative in modo attento. Anche perché i settori in cui operano le società non completamente privatizzate, dall'energia alla difesa, sono strategici e dalla loro efficienza dipende il futuro del paese. Dunque un terzo delle società quotate, e tra queste la maggioranza delle grandi, fa capo al governo.

Per Mediobanca il discorso è diverso. La banca d'investimenti fondata da Enrico Cuccia è, ormai da anni, privata come tutti i suoi azionisti (a parte qualche fondazione che peraltro non fa parte dell'accordo di blocco). Ma alla sua guida, dal giugno del 2007, i soci hanno nominato Cesare Geronzi che, oltre a presiedere il consiglio d'amministrazione, governa anche il patto di sindacato. È un presidente "forte" seppure non operativo (gli affari sono competenza dell'amministratore delegato Alberto Nagel e del direttore generale Renato Pagliaro, entrambi allevati alla scuola di Cuccia).

La sua forza nasce dal carisma personale, dalla lunga esperienza maturata prima alla Banca d'Italia e poi nelle banche (Cassa di risparmio di Roma e Banca di Roma-Capitalia), ma soprattutto dalla formidabile capacità d'"interlocuzione" con il mondo della politica, indipendentemente dal suo colore. Geronzi riesce ad andare d'accordo con tutti. Oggi, come confermano numerosi banchieri e imprenditori, ha un rapporto privilegiato con Silvio Berlusconi e con il suo braccio destro Gianni Letta. Lungo questo "asse" corre una buona fetta del destino d'Italia.

Se si sommano le imprese pubbliche, controllate dal governo, e quelle che orbitano intorno a Mediobanca, dove Berlusconi e Geronzi sono in grado di far sentire la loro voce, si arriva al 70% della capitalizzazione di borsa. O giù di lì. Un raggio d'influenza piuttosto ampio per il Cavaliere e per il suo governo. È un dato che sembra in contraddizione con quanto emerso negli articoli precedenti, quando imprenditori e banchieri sollevavano il problema della mancanza di un "centro di compensazione" in cui sviluppare progetti e strategie complessive per il paese. In realtà esiste un asse privilegiato che collega la presidenza del consiglio e la maggiore investment bank italiana, interconnessa con una buona parte del cosiddetto establishment.

Un difficile equilibrio
Ma qui si torna un po' alla domanda di partenza: è vero che la crisi ha riportato la politica al centro del sistema? E se è vero, come sta utilizzando questo potere? Qui le risposte divergono. «Non mi pare che, oggi, la politica sia forte - dice uno dei più importanti imprenditori -. Quando si lotta per la sopravvivenza giorno dopo giorno è difficile imporre una visione, coltivare dei progetti». La guerriglia permanente all'interno della maggioranza, in ampia misura legata al problema della successione a Berlusconi, i problemi giudiziari del presidente del consiglio, l'incomunicabilità con un'opposizione a sua volta piuttosto evanescente, secondo questa visione, indeboliscono il centro-destra che peraltro si trova a governare con un mandato elettorale chiaro (i numeri in parlamento non lasciano dubbi) e in una fase in cui il primato della politica, anche e soprattutto in economia, non è messo in discussione.

«Il combinato disposto - sostiene invece un politico molto attento alle questioni economiche come Bruno Tabacci - della crisi internazionale e della vittoria del centro-destra alle elezioni del 2008 ha prodotto un'enorme concentrazione di potere nelle mani di Berlusconi, che lo esercita in parte attraverso Tremonti e in parte attraverso Geronzi». Ovvero due modi molto diversi di gestirlo. Geronzi, in questa fase, riesce ad andare d'accordo con Giovanni Bazoli, presidente e "faro" d'Intesa Sanpaolo, nonostante le profonde differenze, culturali e caratteriali, che li separano. «Il dialogo c'è e serve all'interesse generale», dice chi li frequenta entrambi. Geronzi è andato persino in soccorso di Alessandro Profumo, il supermanager di UniCredit, quando, nel momento più drammatico della crisi finanziaria, era sotto tiro delle fondazioni sue azioniste.

  CONTINUA ...»

10 novembre 2009
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